domenica 23 febbraio 2014

Saldi settoriali nell'€-sistema

Oggi, coerentemente al percorso del blog, devo mettere a fuoco concetti e meccanismi che richiedono maggiori approfondimenti, lo farò in modo sufficientemente leggero da favorirne la comprensione. Gli esperti siano pazienti e tolleranti.

Le inesattezze e o le invenzioni mediatiche sulla macroeconomia che ci propinano con un martellamento continuo e incessante, meritano di essere spazzate via dalla verità tecnica su cui poter poi, evidentemente, costruire le proprie opinioni e o progetti politici di buon senso.

Come funziona  economicamente, a livello macro, uno Stato?

Cominciamo da uno schema esemplificativo che ci illustra come circola il reddito in uno Stato e quali sono le grandezze coinvolte in tale processo:


Rispetto ai redditi ricevuti dalle famiglie (genericamente Salari), solo una parte ritorna alle imprese (nazionali) sotto forma di spesa in consumi (C). Il resto esce dal flusso diretto secondo tre modalità di prelievo: risparmio (S), tassazione (T) e importazioni (M).

D’altra parte, oltre ai consumi delle famiglie, la domanda che si rivolge ai beni prodotti dalle  imprese  nazionali  deriva  anche  da  fonti  esterne  al  flusso  ristretto  del  reddito (quello diretto famiglie-imprese).

Le immissioni nel flusso ristretto sono di quattro tipi: Investimenti (I) delle  imprese, la Spesa pubblica (G) dello Stato, le Esportazioni  (X), i redditi netti esteri (RNE) che per praticità di rappresentazione consideriamo immessi solo nelle imprese.

Lo scopo della bilancia dei pagamenti è farci capire se esistono dei flussi di denaro in entrata o in uscita dall'economia considerata, ma essa non ci consente di capire a chi tale denaro sia destinato, cioè se esso si traduca in credito (o debito) del settore privato o di quello pubblico.

Per capirlo, bisogna ricorrere ai cosiddetti saldi settoriali.

I saldi settoriali sono un fondamentale strumento di analisi macroeconomica. I principi sui quali si basano sono molto semplici.

L’economia viene divisa in settori, normalmente tre: privato, pubblico ed estero.

La differenza fra le entrate e le uscite di ogni settore costituisce il suo risparmio netto (se positivo) o indebitamento netto (se negativo); li chiamiamo anche surplus e deficit.

La somma dei saldi deve necessariamente essere nulla, perché un settore non può indebitarsi (essere in deficit) se almeno un altro non gli fa’ credito (ovvero è in surplus).

Eccovi uno schema riassuntivo di come si arriva analiticamente a definire i saldi settoriali:


Si nota chiaramente che, vista la loro somma uguale a zero, i tre settori non possono essere contemporaneamente in deficit: almeno un settore deve essere in surplus.


L’analisi dei saldi settoriali illustra un principio su cui lo stesso Keynes insisteva costantemente: ogni spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro.
Si nota chiaramente che, vista la loro somma uguale a zero, i tre settori non possono essere contemporaneamente in deficit: almeno un settore deve essere in surplus.


In particolare, i soldi spesi dallo Stato si rivolgono direttamente o indirettamente (ad es. tramite gli stipendi dei dipendenti pubblici, o appalti di opere pubbliche, etc.) all’acquisto di beni e servizi prodotti dal settore privato, diventando così reddito privato, con effetti indotti moltiplicativi (moltiplicatori keynesiani). Un surplus privato invece deriva dal fatto che lo stimolo pubblico si è tradotto in redditi dei privati, i quali sono così in grado di accumulare risparmi, con cui rifinanziare ad esempio il settore pubblico (ad esempio tramite acquisto di titoli del debito pubblico).

Saldo esteroSi fa notare come le nostre importazioni (M) sono un reddito per l'estero, le nostre esportazioni (X) sono una spesa per l'estero, il saldo estero (balance of the external sector) è l'opposto del saldo delle partite correnti (CAB: Current Account Balance), pertanto un saldo delle partite correnti negativo (CAB < 0) implica che l’import del paese superi il suo export, cioè il Paese è in deficit con l’estero e si sta indebitando con esso, oppure, in altre parole, che il resto del mondo stia esportando in quel Paese (è in surplus, cioè in credito con esso).

Saldi pubblico e privatoQuello che per lo Stato è un debito (G>T), visto dal lato del settore privato è un credito (S>I), è ricchezza, in altre parole è una delle possibili forme di accumulazione del risparmio.

Ricordiamo per i meno esperti che:
  •      il deficit è la differenza fra la spesa dello Stato e i suoi incassi: se alla fine dell’anno esso ha incassato meno di quanto abbia speso, allora si dice che c’è un deficit;
  •       il cumulo dei deficit forma il debito pubblico;
  •     il debito estero è invece il debito collettivo (pubblico e privato) contratto da una nazione verso i creditori stranieri.

Tecnicamente il debito è uno stock, cioè una grandezza di accumulo, mentre il deficit è un flusso (reddituale negativo).

Per nostra scienza ecco l’andamento del debito pubblico italiano:


Un saldo è un mero fatto contabile, non è un bilancio. Il saldo fra entrate e uscita spiega come si forma un deficit/surplus, il bilancio (identità di bilancio) spiega come questo deficit/surplus viene coperto/allocato.

Vediamo ora l’andamento di questi tre saldi in Italia dal 2000 al 2012 (fonte: Il Tramonto dell’Euro – A. Bagnai – Imprimatur editore) ricordando che, in questa rappresentazione, il saldo privato è (S-I), il saldo pubblico è (T-G), il saldo estero è (M-X):


La figura  riporta i saldi settoriali italiani partendo dal 2000, l’anno successivo all'entrata nell'Euro.

In maniera concorde con l’identità dei saldi settoriali, per ogni punto delle ascisse (anno) la somma dei valori delle tre curve è pari a zero.

Nel 2000 i tre saldi erano tutti vicini allo zero: conti con l’estero praticamente in equilibrio, deficit pubblico esiguo (G>T), e settore privato in moderato surplus (S>I).

La linea tratteggiata è il saldo finanziario estero: valori positivi indicano che l’estero è un risparmiatore netto e ci sta prestando soldi (M>X). 

Si noti la parte ombreggiata. Dal 2004 il saldo finanziario estero decolla: il Paese comincia a importare capitali dall'estero. Uno dei motivi è che l’euro sta causando problemi di competitività.

Chi si sta indebitando con l’estero? Si vede bene: il settore privato, il cui surplus si avvia deciso verso lo zero.

Certo non il settore pubblico, il cui deficit (linea continua) all'epoca si andava riducendo (politica di riduzione della spesa pubblica avviata da Tremonti). Infatti non siamo e non siamo stati spendaccioni:
  


Il problema dell’Italia è l’indebitamento privato con l’estero.

Il problema non è la spesa pubblica, di cui si evidenzia un leggero incremento nel 2009 in reazione allo shock finanziario del 2008, nello stesso periodo si ritrova simmetricamente un surplus del settore privato stimolato appunto dall'aumento di G, e una corrispondente flessione di quello estero per effetto di una necessità di risorse finanziaria parzialmente compensata dall'incremento di G.

Se il settore privato spende più di quanto incassa, si impoverisce, mentre questo non accade al settore governativo di uno Stato con moneta sovrana (moneta FIAT: fiduciaria), perché esso può creare moneta, mentre i privati no!

Il settore pubblico può dunque spendere in deficit e creare risparmio per il settore privato senza impoverire nessuno.

Compito di uno Stato degno di questo nome sarebbe quello di immettere in circolo la giusta quantità di moneta: "giusta" vuol dire sufficiente per promuovere la piena occupazione (“lavoro” come diritto fondamentale della Costituzione italiana), rilanciando così l'economia, e permettere alla popolazione di risparmiare qualcosa, senza generare inflazione.

In tale caso questo lo schema (abbastanza semplificato) sarebbe:


Naturalmente questo con l’euro è impossibile, perché lo Stato non lo emette, ma lo utilizza soltanto.

Infatti lo prende in prestito, pagandoci degli interessi, che sono precisamente quelli che stanno affossando la nostra economia: quindi lo Stato è diventato come un privato che, se spende 100, deve incassare 100 in contropartita (pareggio di bilancio, art.81 Costituzione modificato sotto il governo Monti).

Questo obiettivo è assolutamente deleterio per il benessere della popolazione, che sarà impoverita regolarmente di anno in anno dallo Stato.

Sarebbe sostenibile solo nel caso in cui l'Italia esportasse più di quanto si importa, facendo rientrare in gioco il settore estero.

Questo è lo schema attuale nell’€zona:


Tutti i Paesi dell'Eurozona, quindi, dovrebbero esportare per garantirsi un flusso reddituale positivo (modello tedesco), il concetto oltre ad essere assurdo in sé (se tutti i Paesi devono esportare, chi importa? Marte?), è legato a troppe variabili per poter fare affidamento su di esso ed è attualmente, per la maggior parte dei Paesi europei, inattuabile: molti di essi infatti, fra cui proprio l'Italia, basavano le loro esportazioni sulla svalutazione competitiva, che con l'euro è stata resa impossibile (+20% rispetto alla lira virtuale); in pratica solo la Germania ce la può fare, perché gode di un euro tedesco super scontato (-30% rispetto al marco virtuale) e per rendere competitive le proprie esportazioni ha adottato politiche di drastica deflazione degli stipendi dei suoi lavoratori (riforme Hartz) a scapito dell’incremento della disuguaglianza sociale, la più alta in Europa.

Questo è lo scenario.

Considerazioni a valle del post che cercheremo di sviluppare nei prossimi:
  •         Renzi non può risolvere il problema in Italia, lo può solo aggravare, è una pedina dei creditori privati, come Monti, Prodi etc.
  •     Il M5S ha individuato molti problemi che ha l’Italia, ma non quello principale (o meglio, la base si, Casaleggio no, ma chi lo paga, il PD?) e dunque, rimanendo su tali posizioni, fallirebbe anch’esso.
  •      Il reddito di cittadinanza è la resa al sistema €, una progettualità Von Hayek.
  •    La Bundesbank vuole una patrimoniale in Italia, ovvio, è una di quelle banche private……..
  •     Tspiras, l'affabulatore greco al soldo della finanza, come farebbe a risolvere i problemi della UE (crescente disoccupazione, redditi in picchiata, disuguaglianza in aumento, povertà, etc.) senza mettere in discussione il sistema (l’Euro) che li ha generati? Roba da mago Forest….
  •         Quali sono i cambi di strategia politico-economica dell’élite finanziarie ordoliberiste dopo i danni da loro stessi provocati e di cui sono vittime anch’essi? Quali saranno i futuri assetti macroeconomici del pianeta?
  •         Prospettiva “ossimorosa” ma reale, mi toccherà votare la Lega per difendere l’Italia?

Ubi maior minor cessat.

Fonti:
http://www.federazionemovimentiantieuro.com/2013/07/bilanci-settoriali-e-pareggio-di.html
http://goofynomics.blogspot.it/2013/01/identita-vincolo-saldo-bilancio.html
http://retelira.altervista.org/Pillole/debito_ricchezza.htm

mercoledì 12 febbraio 2014

Chi ha scaricato Napolitano?

Riporto un articolo di Marcello Foa che ritengo in parte condivisibile e che trovo strumentale al percorso di questo blog:

I mandanti e il “sicario”: perché le grandi lobby scaricano Napolitano
"Mettiamola così: certi scoop si pesano. Dipende chi li fa e quando escono. Napolitano in queste ore mi ricorda Di Pietro. Ricordate? Il leader dell’Italia dei Valori è caduto, ha perso improvvisamente ogni credibilità, sparendo dalla scena politica, quando Report di Milena Gabanelli andò a frugare tra le casse e gli statuti del Partito. E cosa scoprirono i cronisti di Report? Nulla che non fosse già noto. Tutto già uscito, anzi urlato da molti giornali. Solo che detto dalla Gabanelli, ovvero dalla più famosa e più temuta giornalista d’inchiesta, aveva un altro peso. Non era una denuncia, ma una sentenza ovvero era la conclamazione mediatica di una situazione indifendibile. E d’incanto anche i giornalisti simpatizzanti di Di Pietro, a cominciare da Santoro, lo mollarono.
Ora tocca a Napolitano. Le accuse che sono emerse nelle ultime ore sono nuove? Niente affatto. Il Giornale le denunciò in tempo reale e un quotidiano come La Stampa ne parlò in un prudentissimo ma preciso retroscena. Chi ora parla di “non scoop” tecnicamente ha ragione. In realtà torto; perché se lo scrive Alan Friedman, ovvero un giornalista anglosassone tutt’altro che ostile all’establishment, con il supporto di interviste a Mario Monti, Carlo De Benedetti, Romano Prodi – videoregistrate e dunque non equivocabili – e con la vetrina simultanea di due grandi testate come il Corriere della Sera e il Financial Times, la notizia prende un altro peso e, come avvenuto con Di Pietro, diventa una Verità; non più un sospetto, ma un fatto mediaticamente incontestabile.
E dunque coloro che tendono a relativizzare o addirittura ridicolizzare lo scoop sbagliano. Le leggi della comunicazione sono inequivocabili e ben note sia a Friedman che ai navigati interlocutori che si sono concessi al suo microfono. Lo scandalo c’è ed è colossale.
Sa di licenziamento. Già, ma per mano di chi? Del Parlamento e del popolo italiano? Macché, questa è democrazia e la democrazia si sa non è più di moda. Il vero potere risiede altrove – nell’establishment europeista, transnazionale e finanziario – e si esercita in altre maniere, meno desuete, eppure molto efficaci, in quanto fondate non sul consenso elettorale, bensì sul controllo delle leve che determinano il destino dei popoli e dei Paesi. Dunque: la moneta, il debito pubblico, la possibilità di imporre leggi al di sopra dei Parlamenti nazionali e di dettar legge attraverso organismi sovranazionali, naturalmente privi di sovranità popolare. Non è questo il mondo in cui viviamo? Un mondo in cui i governi non hanno quasi più poteri, i parlamenti non riescono a legiferare e in cui la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e naturalmente l’Unione europea hanno poteri soverchianti?
La sensazione, sgradevolissima ma temo veritiera, è che la vicenda di Napolitano sia “cosa loro” ovvero che risponda a logiche e modalità che sfuggono al comune cittadino e che finiscono per ingannare anche quei politici che, avendo capito dove risiede il vero potere, lo corteggiano nella speranza di essere cooptati.
E alcuni ci riescono. Giorgio Napolitano, naturalmente. Ma anche Gianfranco Fini, la cui svolta antiberlusconiana si manifestò dopo la sua partecipazione alla Convenzione europea, ovvero al consesso che nella prima metà degli anni Duemila era stato incaricato di elaborare la Costituzione europea. Lì, Gianfranco, l’allievo prediletto di Almirante e uomo dai radicati valori della destra nazionalista, capì chi comanda davvero. E svoltò rinnegando se stesso e diventando strumento nella lotta contro Berlusconi, uno che l’élite non ha mai sopportato.
Giorgio Napolitano ha seguito lo stesso percorso. Leggendo “Il tramonto dell’euro” di Alberto Bagnai, troverete riportato un bellissimo discorso in Parlamento in cui Napolitano prevedeva, con straordinaria lungimiranza, le devastazioni che avrebbe provocato la moneta unica. Poi, però, Napolitano divenne europarlamentare. E la sua visione cambiò drasticamente. Di quell’uomo oggi non c’è più traccia.
Come Gianfranco, anche Giorgio pensava di essere arrivato, di appartenere a pieno titolo alla super élite transnazionale. Entrambi si sentivano intoccabili; non capivano, però, che le logiche di quell’establishment sono diverse da quelle dei partiti, che le loro leggi, non scritte, sono implacabili e, soprattutto, che non tutti i membri sono uguali. Al suo interno c’è chi conta di più (come Draghi senza dubbio) e chi di meno (come quasi tutti i politici italiani); chi sa e chi non sa; chi viene cooptato nel girone divino e chi, pur partecipando, resta ai margini.
Ecco, Napolitano apparteneva alla seconda categoria. E ora che non serve più o forse semplicemente perché ha deluso, viene abbandonato a se stesso. Con modalità che sono proprie di quegli ambienti, usando come sicario un giornalista americano, che di nome fa Alan e di cognome Friedman."

Dunque Napolitano è stato scaricato dalle élite tecnocratiche e finanziarie, su questo non c'è dubbio.
Perché?
La giustificazione di Friedman nella trasmissione Piazza Pulita su la7, ci indica una possibile strada: "Non sono un costituzionalista, ma pongo il problema, che emerge dai fatti, di come abbiate rispettato la vostra Costituzione; non sono interessato a valutazioni politiche, ma faccio il mio dovere di cronista, raccogliendo rigorosamente i fatti e verificando professionalmente le fonti."
D'altronde questi fatti erano perfettamente noti a chi, come me, da oltre due anni si interessa di politica economica. Addirittura nel novembre 2011 l'insediamento di Monti, accompagnato dalla scusa dell'urgente necessità di riduzione dell'eccesso di debito pubblico, arrivava insieme alla notizia di diversi importanti studi sui debiti pubblici europei che convergevano sul fatto che quello italiano risultava il più sostenibile.
Alan Friedman, uno di loro, ci mette la faccia, fa' lo scoop, non cita le fonti per deontologia e il gioco è fatto.
Intanto Prodi, Monti e De Benedetti hanno parlato. Loro sono ancora i soldati italiani dell'élite. Napolitano non più.
Possiamo sostenere con una certa sicurezza, come Luciano Barra Caracciolo sintetizza, che: "il liberismo non può permettersi di andare avanti con queste politiche se vuole arrivare alla sua espansione planetaria in termini di mercati appetibili e non auto-implosi (Piigs), e che la Germania, proprio sul piano dell'internazionalismo, si sta dimostrando disfunzionale: ergo, si prendono provvedimenti. Per capirci si può dire che solo l'OCSE crede ancora nella sostenibilità totale di deflazione interna accompagnata da tagli alla spesa-privatizzazioni."
Lo scoop di Friedman, anche se non esplicitamente, pone il problema dell'Euro e della sua insostenibilità.
Con una moneta così, una loro creazione, le élite ci stanno perdendo e tentano di risalire la china.
Intanto i popoli. e più precisamente i lavoratori tutti, hanno già perso e continueranno a perdere.