lunedì 26 maggio 2014

Un commento ai risultati delle elezioni europee 2014

Doveroso un commento ai risultati italiani delle elezioni europee.
Questi i numeri:



Le elezioni sono state vinte dal Partito Democratico con il voto favorevole del 23,95% del totale degli elettori (49.256.169) e con il 40,81% (11.172.861) del totale votanti (28.908.004).

Un successo inequivocabile della forza politica italiana completamente allineata alla politica della Commissione Europea attualmente in carica e alla politica europea tedesca della Merkel.
Un successo che rafforza la sua azione di governo, anche se le europee non sono le politiche.


Seconda forza italiana è il Movimento 5 stelle con il 12,42% del totale degli elettori (49.256.169) e con il 21,16% (5.792.865) del totale votanti (28.908.004).

Una debacle quella del movimento che perde oltre 3 milioni di voti dalle politiche dello scorso anno pur assestandosi al ruolo di seconda forza politica del Bel Paese. La vittoria del pinochettiano Casaleggio, che si è accreditato come brand leader della critica all'Europa pur essendo favorevole all'Euro e al modello sociale tedesco, è stata sventata dal prestigiatore Renziek che ti da' 80 € con una mano e con l'altra te ne sfila il doppio.


Terza forza italiana è Forza Italia con il 9,87% del totale degli elettori (49.256.169) e con il 16,82% (4.605.331) del totale votanti (28.908.004).

Grande debacle del partito personale di Berlusconi che correndo da solo perde circa 4 milioni di voti rispetto al PDL delle scorse politiche. La sua campagna elettorale, volta alla demonizzazione di Grillo, ha tolto consenso al M5S e regalato voti, tanti voti, a Renzi. Ha ottenuto quello che voleva, continuare a galleggiare garantendosi che nulla cambiasse. Onorato il patto latente, mai cessato, con il PD.


Quarta forza italiana è la Lega Nord con il 3,61% del totale degli elettori (49.256.169) e con il 6,16% (1.686.556) del totale votanti (28.908.004).

Tiepido successo per la linea "Basta Euro" che, tuttavia, tiene a galla il partito.


Alfano e Tsipras boccheggiano sulla soglia e ce la fanno per poco o pochissimo.

NCD quasi sparisce dallo scenario politico e, per essere parte della maggioranza politica in Italia, è una bella botta.


Fratelli d'Italia non ce la fa'.



Scelta Europea dei montiani certifica il passaggio in toto del suo vecchio patrimonio di voti al PD che incamera e ringrazia.



Dunque, con questo voto europeo l'Italia ha indirettamente sottoscritto che la politica del Governo italiano va bene, che Renzi è l'uomo giusto e che quindi i problemi che causano la crisi in Italia sono legati a:

- Problemi contrattuali del lavoro (causa supply-side), c'è poca flessibilità.
- Il sistema bicamerale perfetto, che va cambiato.
- La Costituzione italiana che è obsoleta.
- Il debito pubblico elevato.
- L'amministrazione pubblica inefficiente.
- L'evasione fiscale.


E che, siccome gli altri in UE sono meglio di noi, il "vincolo esterno" ci moralizzerà migliorandoci e ispirandoci così:

- Privatizzando gli Enti pubblici.
- Tagliando la spesa pubblica comprese le pensioni (non quelle d'oro, delle quali hanno votato l'intoccabilità).
- Modificando la Costituzione.
- Applicando pedissequamente i trattati Europei.
- Recependo per primi, anche se soli, tutte le direttive UE.
- Obbedendo ciecamente alle politiche imposte dalla Troika.


Questo è quello faranno.



Agli italiani va bene così.



Il sospetto che ci sia un deficit informativo però è pesante.



La maggioranza relativa degli italiani ha obbedito alla maggioranza assoluta dei media, che l'ha tartassata di messaggi populisti (sovranità uguale frontiere, uguale guerra, uguale morti annegati nei barconi) e terroristi (i risparmiucci che si liquefanno).

Questo liberismo organizzato a livello centrale della UE (ordoliberismo) che riafferma il superamento del modello costituzionale di società democratica pluriclasse tramite il "vincolo esterno" €uropeista-internazionalista, ha delle tendenze irrefrenabili, ormai automatizzate.
Infatti, essendo l'ordoliberismo concepito (a tavolino) con l'idea della coessenzialità del controllo mediatico, esso, più si sente minacciato, più utilizza questo controllo mediatico, fino a livelli che solo l'assuefazione al condizionamento non fa' scorgere come ridicoli i relativi messaggi alla maggioranza degli italiani.
Se poi l'ordoliberismo ha potuto anche magistralmente sfruttare il metodo del controllo sia dell'informazione che ("in modi indiretti e spesso occultati...") della controinformazione, cioè l'esistenza di una falsa opposizione (M5S, Forza Italia) il gioco si rivela in tutta la sua rudimentale efficacia: nel gioco mediatico ben orchestrato, l'opposizione non è in pratica distinguibile dal potere ordoliberista-internazionalista sul messaggio essenziale (il caposaldo "debito-pubblico-casta-cricca-corruzione...") e risulta differenziata solo come  stravaganza delle soluzioni di austerity, in pareggio di bilancio, che variamente propone.
In pratica se la controinformazione-opposizione si riduce a una versione semplicemente più "eccentrica", (nemmeno più "radicale") dello stesso messaggio dato dalla "maggioranza" nelle sue strategie di "rinnovamento" cosmetico, la gente cerca la sicurezza e affluisce sulla posizione più conformista. Inevitabilmente.


Come più volte detto in questo blog, i dati, le statistiche, buona parte dei giuristi e dei costituzionalisti e la maggior parte degli economisti di rilievo (7 Nobel) ci dicono invece che:

- La causa della crisi è la mancanza di domanda interna.
- Il sistema bicamerale così com'è garantisce la democrazia, la sua abolizione no.
- La Costituzione Italiana andava benissimo così com'era fino a prima della devolution, è (ancora per poco) la principale garanzia del welfare italiano.
- Il debito pubblico sale perché non abbiamo più né sovranità monetaria né banca centrale dipendente, quindi si pagano fior di interessi ai nostri creditori, e perché  grazie alla quota salari bassa cresce il debito privato verso l'estero che con il sistema Target 2 si riversa, appunto, sul debito pubblico.
- L'evasione fiscale alta c'è perché è alta la pressione fiscale, la quale a sua volta lo è perché non abbiamo sovranità monetaria e quindi l'approvvigionamento di risorse si ha con il drenaggio fiscale (saldo pubblico) e con l'aumento dell'export (saldo estero). Più dreni più impoverisci lo Stato.
- ....e altro.....


Lo scenario internazionale suggerisce che quello che deve accadere, l'implosione dell'€zona, accadrà comunque, né il prestigiatore Renziek e il suo elettorato né la quasi totalità dei media possono fermare il vento con le mani.



Gli altri Stati della UE però vanno in un'altra direzione con diffusa crescita e o affermazione di forze €-scettiche.

 Il dato globale dell'Unione Europa, in definitiva, indica la vittoria del Partito popolare europeo, al 28,2% (Junker presidente), con 212 seggi, mentre i socialdemocratici si fermano al 24,7%. I liberali scendono a 70 seggi (9,3%). 


Il progetto UE verso Stati Uniti d'Europa rimane solo nella testa di pochi.

Purtroppo gli italiani sono tra questi ed è per questo che l'imminente fallimento dell'idea farà molto più male a noi, poco e male informati, popolo di sognatori.


Fonti:
Ministero dell'Interno: http://elezioni.interno.it/europee/scrutini/20140525/E0000000000.htm
Orizzonte48: http://orizzonte48.blogspot.it/2014/05/il-gran-colpo-dellordoliberismo.html
Goofynomics: http://goofynomics.blogspot.it/2014/05/la-vittoria-di-pirro-del-populismo.html

sabato 24 maggio 2014

8 riflessioni politiche per il futuro della UE

Pubblico un interessante post di Aldo Giannulli che pone otto spunti di riflessione  politica sulla sperata (solo per alcuni) evoluzione della UE in Stati Uniti d'Europa.
Personalmente ritengo scontata l'impossibilità tecnico-economica di un'unione politica, fiscale e sociale fra gli Stati Europei che, infatti, non sono una OCA (Optimum Currency Area) e hanno caratteristiche geo-culturali diverse e spesso in contrasto tra loro come i rispettivi obiettivi di politica estera.
Teorie economiche, dati e indicatori parlano chiaro su questo.
Miglioramenti relazionali che siamo riusciti ad ottenere nel periodo pre-Euro sono stati la pace e una costante integrazione commerciale, fattori di rilievo oggi messi in profonda discussione dalla stesura di maliziosi Trattati e dall'utilizzo sconsiderato di una moneta comune.

A voi la lettura di Giannulli.




UNITA' EUROPEA: CHE BELLA COSA, PERO'....
di Aldo Giannulli

La panacea di tutti i mali d’Europa sembra finalmente trovata: fare subito l’unità politica, dopo quella monetaria, e così unificheremo il fisco, il diritto commerciale e quello penale, il sistema universitario, ecc. Antiche ferite saranno sanate di incanto, le economie dei singoli paesi convergeranno in magica armonia, vecchi dissidi troveranno la loro composizione e tutti vivremo felici e contenti. Che bello! Mi avete convinto: quando si parte? Naturalmente, non stiamo parlando dell’ennesimo pastrocchio per cui unifichiamo il fisco, magari creando una Cassa Centrale Europea sul modello della Bce, che diventa un altro apparato tecnocratico a sé stante, stiamo parlando proprio dii uno Stato federale, che ha un suo governo che diventa titolare esclusivo di moneta, politica estera, forze armate e giustizia penale federale (quantomeno).  Insomma stiamo parlando di uno stato vero. Però prima ci sarebbero alcune piccole questioni da mettere a posto: quisquilie, pinzillacchere, avrebbe detto il Principe De Curtis, ma, insomma, occorre pure pensarci un attimo:

1-uno Stato deve avere una forma istituzionale precisa: monarchia o repubblica (e poi occorre precisare se repubblica parlamentare o presidenziale ecc.). Il primo problema è definire la natura della federazione europea: siamo sicuri che i paesi monarchici (Spagna, Belenux, Svezia, Danimarca, Norvegia ed Inghilterra) accetterebbero di federarsi in una unione repubblicana? Oppure, nel caso meno probabile di una soluzione monarchica dell’Unione, che gli stati repubblicani (Portogallo, Francia, Irlanda, Italia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, ecc.) siano disposti ad accettare questa soluzione? Si è mai vista una repubblica con enclaves monarchiche al suo interno? Anche ignorando il problema, evitando di definire la natura del nuovo stato, resterebbero problemi non secondari di convivenza fra monarchie e repubbliche, quantomeno sui principi del diritto costituzionale. E lasciamo da parte se il nuovo stato debba avere una impronta parlamentare o presidenziale.

2- Analoghe considerazioni si potrebbero fare a proposito della convivenza fra stati unitari centralizzati (come la Francia), stati federali (come la Germania) e stati regionali (come Italia e Spagna). Bisognerà scegliere un criterio unico per l’intera Unione. E se gli stati nazionali sopravvivranno come unità federate, che senso avrà suddividerli al proprio interno in ulteriori unità federate? Esistono stati unitari e stati federali in due livelli, ma una cosa in tre livelli non si è mai vista e non si capisce che funzionalità possa avere.

3-Peraltro, non si dà Stato senza costituzione. L’Inghilterra ne ha una consuetudinaria (come altri paesi del suo vecchio impero), ma la norma è quella delle costituzioni scritte. Quando si è provato a scriverne una per la Ue, ci si sono impiegati circa cinque anni ed il risultato è stato un testo improponibile di circa 600 pagine, con articoli disseminati di commi e sottocommi che si contraddicevano a vicenda, descrivendo un processo decisionale macchinoso e caotico. Giustamente quell’aborto di costituzione venne ripetutamente impallinato nei referendum popolari di Francia e Danimarca, dopo di che non se ne parlò più. Grazie a Dio.
Cosa ci fa pensare che, di colpo, siamo in grado di produrre una costituzione agile e funzionale, che disegni un processo decisionale efficiente e democratico e che riesca a mettere tutti (o quasi) d’accordo sui diritti fondamentali del cittadino e sul modo di definirli e garantirli? E per di più a tamburo battente, perché se ci mettiamo altri 5 anni solo per avere il testo di costituzione per avviare la discussione, tanto vale lasciar stare tutto come sta. Occorrerebbe quantomeno eleggere una Assemblea Costituente Europea, nella speranza che essa riesca a produrre in tempi accettabili (un anno o poco più, al massimo) questo tipo di costituzione. Dopo ciò, sa va sans dire, sarebbe necessario quantomeno un referendum popolare in ogni paese per vedere quali  popoli sono disposti a ratificare la nuova Costituzione e la confluenza del proprio nel nuovo Stato. Insomma, non proprio una cosa che si fa dalla sera alla mattina. Ma, nel frattempo, che fine fanno le costituzioni nazionali, restano vigenti o no? Peraltro, dopo l’eventuale approvazione della Costituzione federale, occorrerebbe adeguare le costituzioni nazionali a quella federale per tutto quanto sia in contrasto con essa. Ed occorrerebbe una Corte Costituzionale (o Suprema) Europea che giudichi se l’adeguamento sia soddisfacente o meno.

4-Ma per avere uno stato unitario occorre non solo una Costituzione formale, ma anche una Costituzione materiale, un  sistema politico unitario con agenti (partiti, associazioni, sindacati) ecc. a livello della statualità. Insomma occorre avere, ad esempio, un unico partito socialista europeo con un segretario e un proprio organo dirigente, cui sono subordinate tutte le strutture periferiche a livello locale (dove per locale si intende Francia, Germania, Italia ecc.) ed altrettanto per i conservatori, i democristiani, liberali ecc. Se i partiti europei restassero quello che sono –mere aggregazioni federative con vincoli interno molto laschi- avremmo solo un Parlamento fatto da tanti sindacati territoriali (come la Lega, per intenderci),  incapace di decidere alcunché. Questo spingerebbe ad una soluzione presidenzial-direttoriale il cui punto di appoggio, più che il consenso popolare, non potrebbe che essere la struttura tecno-amministrativa dello Stato. Una cosa non molto democratica e che, peraltro, non è detto che funzioni.  D’altra parte, un sistema politico è fatto di una serie molto sofisticata di meccanismi che devono interagire fra di loro (poteri dello stato, agenti politici, agenti sociali, sistema mass mediologico ecc) ed allo stato attuale è molto difficile omogeneizzare i diversi sistemi politici locali in uno funzionale centralizzato.

5-E’ vero che l’unificazione politica ci metterebbe in condizioni migliori per affrontare i nodi decisivi del debito e delle divergenti economie nazionali, ma è anche vero che non farebbe svanire di per sé né l’uno né l’altro problema. Il debito, ad esempio, resterebbe a carico degli stati federati o verrebbe assorbito dallo Stato federale? Se restasse a carico dei singoli stati federati –e senza neppure una garanzia dello Stato federale-, la situazione non cambierebbe molto da quella attuale ed il rischio di default di una singola unità federata finirebbe per proporre le stesse dinamiche attuali. Anzi, sottrarre la gran parte della politica fiscale –dopo aver eliminato quella monetaria- agli stati federati, non avrebbe altro effetto che irrigidire ulteriormente il sistema esponendo tutti al rischio di paralisi. E non si invochino i precedenti degli Stati americani che hanno dichiarato default, senza che questo abbia avuto ripercussioni (almeno per ora) sulla situazione monetaria del paese, perché, in quel caso, si trattava di un debito in larga parte domestico, mentre qui i titoli di debito dei singoli stati sono in larga parte nelle casse degli altri stati e delle banche, per cui il default provocherebbe l’effetto domino di cui si teme oggi. Peraltro, debito dello Stato sono anche le pensioni e qui dovremmo capire come garantirle se il prelievo fiscale passasse nelle mani dell’Unione e l’onere del pagamento delle pensioni restasse agli stati federati. Poi ci sarebbe da capire quali settori della Pa degli attuali stati nazionali resterebbe alle unità federate e quali andrebbero a carico dello stato federale: sicuramente le Forze Armate e la diplomazia dovrebbero passare all’Unione, ma polizia, ordinamento giudiziario ed apparati fiscali dovrebbero essere suddivisi: in quale misura e con quali criteri? Dunque, buon senso vorrebbe che la messa in comune della sovranità fiscale e monetaria comportasse anche l’accentramento del debito, ma chi glielo va a dire a Frau Angela? Se non riusciamo a varare neppure una misura all’acqua di rose come il fondo salva-stati, come pensare alla piena messa in comune dei debiti?

6-Peraltro resterebbe il problema del dualismo economico fra area mediterranea e nord  Europa (e parlare di dualismo è molto ottimistico, perché in realtà le realtà divaricanti sono ben più di due) e qui, per creare convergenza o almeno integrazione delle diversità, occorre un intervento centrale che redistribuisca risorse ed, ancora una volta, chi glielo dice a Frau Angela? Insomma, se vogliamo tenere la Grecia nell’Unione è possibile farlo senza creare una rete di trasporti decente, lasciando il porto del Pireo in mano ai cinesi e lasciando tassi di disoccupazione oltre il 30%?

7-C’è poi la fastidiosa questione della lingua: quale sarà quella ufficiale dell’Unione? La questione non è da poco perché non si tratta solo di scegliere come discutere nelle sedute del Parlamento o in che idioma redarre i documenti dell’Unione, ma di quale deve essere la lingua veicolare  con la quale i cittadini dei diversi paesi dialogheranno fra loro. Uno strumento comunicativo comune è necessario  se si vogliono avere mass media, partiti, sindacati ecc a livello della statualità e non una congerie di parlate locali che lasciano tutto come è. Ma scegliere una delle lingue nazionali attuali (realisticamente francese, spagnolo o tedesco) significa dare un vantaggio enorme ai mass media ed all’industria culturale di quel paese rispetto agli altri: chi è disposto ad accettare un declassamento della propria televisione o del proprio cinema alla serie B mentre il vicino accede alla A? Adottare l’inglese? Peggio: significa dare questo vantaggio a soggetti esterni all’Unione (Usa, Australia ecc ed auspicabilmente Inghilterra) ai danni di quelli interni: la più stupida fra tutte le soluzioni possibili. La lingua è potere: non dimentichiamolo mai.
Genialmente qualcuno se ne uscirà con l’idea di tre o quattro lingue ufficiali, sul modello svizzero.  Dimenticando, però che la Svizzera è, appunto, una eccezione e che in quel paese il 72% parla il tedesco per cui le altre sono poco più che minoranze linguistiche tollerate. Nel caso europeo questa soluzione lascerebbe intatto il problema dell’assenza di una vera lingua veicolare, con l’aggravante di condannare una buona parte dei paesi membri alla serie B (in primo luogo Italia, Polonia e Portogallo che significano qualcosa nel quadro della cultura mondiale). Non ho soluzioni da proporre, qui pongo solo il problema.

8-Venendo a questioni di minor peso: uno Stato ha una Capitale,  dove la mettiamo? Berlino? Dopo quello che c’è stato e con l’ondata di germanofobia generata dall’atteggiamento della Merkel? E dopo alcuni precedenti  più remoti che  qui non citiamo? Parigi? A me andrebbe benissimo, ma i tedeschi lo accetterebbero? La soluzione finirebbe quasi certamente per essere quella di una città non particolarmente significativa magari a cavallo fra Francia, Germania e Benelux, come, guarda caso, Strasburgo. Ma può una potenza mondiale avere la capitale a Strasburgo? Non dà già l’idea di una cosa che parte in tono minore? L’Europa di Strasburgo è questa che ha pasticciato con la moneta e la profluvie di direttive senza essere nulla. Occorrerebbe una discontinuità anche simbolica.

Ed ora che abbiamo parlato di prossima unione politica dell’Europa, parliamo di cose serie: secondo voi chi vince fra Germania, Inghilterra ed Italia? Parlo del campionato di calcio ovviamente….

Costituzione Vs Trattati Europei ovvero "sovranità" contro "vincolo esterno"



Un ineccepibile Luciano Barra Caracciolo (Orizzonte48) su RaiNews24

martedì 20 maggio 2014

Cosa succederebbe ai risparmi in caso di uscita dall'Euro

Riporto un esaustivo articolo di Paolo Cardenà su Wall Street Italia, ripreso dal sito Vincitori e Vinti, in merito ai pro e contro di un eventuale uscita da parte dell'Italia dall'Euro e un ritorno ad una valuta nazionale. Non sono completamente d'accordo (sfumature) con l'autore però vale la pena rimarcare, come più volte detto su questo blog, che l'abbandono dell'Eurozona darebbe qualche problema e qualche vantaggio e non sarebbe certo una passeggiata, tuttavia rimanervi è impoverimento certo come testimoniano gli ultimi rilievi ISTAT. Abbiate pazienza di arrivare fino in fondo all'articolo, troverete alcune risposte alle vostre domande.



COSA SUCCEDEREBBE AI NOSTRI RISPARMI IN CASO DI USCITA DALL'EURO?
di Paolo Cardenà


ROMA (WSI) - Molti "autorevoli commentatori" sostengono che in caso di uscita dell'Italia dall'euro, i risparmi subirebbero delle gravi perdite per effetto della svalutazione che ne seguirebbe. Per di più, usano questo tipo di affermazioni per cercare di incutere terrore verso l'opinione pubblica (in questo caso i risparmiatori), al fine di veicolare il consenso a favore della permanenza dell'Italia nella moneta unica euro.

Il tema dell'euro, oltre ad essere di estrema importanza, è anche di difficile comprensione, poiché presuppone delle conoscenze economiche che non tutti hanno o possono avere. Ecco quindi che esercitare pressioni sull'opinione pubblica evocando scenari apocalittici, appare un atto censurabile sotto ogni punto di vista, solo per usare un eufemismo.

Chi scrive, pur lodando il dibattito (quello serio) che eminenti economisti sono stati capaci di stimolare aprendo gli occhi all'opinione pubblica meno preparata e meno sensibile al tema, teme che questo grande impegno porti a ben poco, in termini concreti. Per il semplice motivo che noi non abbiamo una classe politica capace di assumere una scelta così importante, che peraltro distruggerebbe l'enorme investimento del patrimonio politico che la creazione dell'euro ha presupposto negli ultimi 50 anni di storia politica europea. L'omertà (e l'ignoranza) che sovrasta la scena politica italiana sul tema euro ne costituisce esempio tangibile. 

Come dire: sono tutti allineati e coperti a difesa dell'indifendibile. Forse per loro personale tornaconto, o forse per mantenere più a lungo possibile lo status quo della nomenclatura politica europea. Ovviamente fin quando non si giungerà alla catastrofe, che a mio avviso, perdurando simili condizioni, non tarderà ad arrivare.

Quindi, credo che l'Italia, anziché governare un eventuale uscita dall'euro, sarà destinata a subirla nel caso in cui qualche altro paese (magari fondatore) dovesse sganciarsi per primo dall'unione monetaria, provocando la dissoluzione della moneta unica. Mi viene in mente la Francia, visto che da quelle parti il dibattito sul tema euro è molto in avanti rispetto che in Italia, ed esiste un partito no-euro che è dato favorito nei sondaggi. Detto questo, non appare affatto remota la possibilità che l'Italia si trovi a dover affrontare questa eventualità (quella della dissoluzione dell'euro) in maniera del tutto impreparata e senza un piano "B" che gli consenta di contrastare, per quanto possibile, lo shock che ne deriverebbe.

Ma tornando al tema di fondo di questo post, le cose non stanno proprio nei termini espressi dagli "autorevoli commentatori" di cui abbiamo accennato in apertura dell'articolo. Cerchiamo di capire perché, auspicando di farlo con più pragmatismo possibile.

Nel misero dibattito politico, che va ritualmente in onda a reti unificate, c'è chi si spinge ad ipotizzare che l'Italia, in caso di dissoluzione della moneta unica e ritorno alle valute nazionali, svaluterebbe nei confronti del marco di un possibile 30-40% o forse più. Va preliminarmente precisato che nel panorama scientifico, al momento, non esiste nessuno studio degno di credibilità che possa confermare questa tesi. Al contrario esistono molti precedenti storici relativi a dissoluzioni di unioni monetarie che dicono che, verosimilmente , la moneta che si sgancia da una unione monetaria (o dalla moneta a cui era agganciata), tenderebbe a svalutarsi di un livello simile al differenziale di inflazione cumulato durante il periodo di vigenza dell'unione. Quindi, ipotizzando che il differenziale di inflazione accumulato con la Germania sia di circa il 20%, è del tutto plausibile che potrebbe essere questo il livello di svalutazione della nuova lira rispetto al marco, o poco più.

Andrebbe anche osservato che l'interesse della Germania non è quello di affossare il cambio della nuova lira rispetto a quel che rimarrebbe dell'euro (ben poco credo) o rispetto al nuovo marco; se non altro perché, questo, oltre a mettere in serie difficoltà il comparto bancario tedesco esposto nei confronti del debito italiano, consentirebbe all'Italia di guadagnare consistenti quote di mercato sottraendole alla stessa Germania. Quindi non sarebbe affatto remota la possibilità che la Germania compri carta (lira) italiana, sostenendo sia il cambio che il valore dei titoli di Stato. Questo consentirebbe anche alle banche tedesche esposte sul debito italiano di assorbire progressivamente lo shock che eventualmente ne deriverebbe. Pertanto credo che sia interesse della Germania evitare che la lira svaluti di molto e in modo violento.

Per effetto della svalutazione che la lira subirebbe, molti commentatori sostengono che i risparmi patirebbero una riduzione di egual valore. Per smentire questa tesi che risulta assai opinabile, partiamo da un punto fermo, che è quello che tutte le attività e le passività vengano denominate nella nuova lira in rapporto UNO a UNO: UNA NUOVA LIRA per ogni EURO, lasciando poi il cambio libero di fluttuare. Ciò significa che i mutui, gli stipendi e tutti i risparmi (conti deposito, risparmio postale, fondi comuni, azioni ecc) verrebbero convertiti in nuova lira che, come dicevamo, dovrebbe svalutarsi di un quantum. Ecco, il punto è cosa si svaluta e rispetto a cosa si svaluta.

Prendiamo il risparmio, ad esempio. Se oggi dispongo di 100.000 euro in un conto deposito in italia, domani avrò 100.000 lire sullo stesso conto deposito, che, ipotizzando una svalutazione del 20% rispetto al nuovo marco (ma non è detto), consentono di acquistare 80 mila marchi. Il punto è: per che cosa mi occorrono i marchi? Qual'è l'utilizzo che ne debbo fare? Se dovessero occorrermi per acquistare una casa in Germania del valore di 100 mila marchi e che magari prima avrei potuto comprare a 100 mila euro ( gli stessi che io avevo sul c/c) allora, in questo caso, subirei una svalutazione del mio risparmio del 20%, o di un livello in perfetta sintonia alla svalutazione che la nuova lira subirebbe nei confronti del nuovo marco. Così come la subirei nel caso dovessi recarmi in Germania per motivi di lavoro, vacanza o studio, spendendo marchi in Germania, che dovrebbero essere acquistati con una lira svalutata.

Ma se io non avessi questo tipo di esigenze (cioè l'esigenza di comprare una casa in Germania o trasferirmi per vacanza, studio o lavoro) e la mia esistenza si svolgesse in Italia così come le mie spese, la svalutazione rispetto al marco che deriverebbe da un ritorno alle valute nazionali, non mi colpirebbe affatto e sarebbe un fattore del tutto marginale. Specularmente, in caso di dissoluzione dell'euro e ritorno alle valute nazionali, è verosimile (certo) che la nuova lira si rivaluterebbe molto rispetto alla nuova dracma, magari del 20-25%, o forse più. Quindi, se io dovessi acquistare una casa in Grecia che prima mi sarebbe costata 100.000 euro (gli stessi che avevo in deposito sul conto corrente italiano), con la nuova lira (rivalutata del 20-25%) potrei comprarmi quella casa e anche un pezzo di una seconda casa, sempre che ne abbia bisogno. Oppure una casa più grande e di maggior valore. Discorso analogo si può osservare se dovessi recarmi in Grecia per vacanza o lavoro, perché è chiaro che acquisterei dracme ad un cambio per me più favorevole in conseguenza del fatto che la mia lira si è rivalutata rispetto alla Dracma.

Quindi, il discorso della svalutazione è del tutto relativo, perché la rivalutazione e la svalutazione generano rispettivamente guadagni o perdite a seconda dei casi, a seconda delle specifiche esigenze e a seconda dei comportamenti degli individui e degli agenti economici. Anche se, per una maggiore valutazione dell'impatto che potrebbe avere l'introduzione di una nuova lira in termini di svalutazione o rivalutazione si dovrebbe considerare anche il grado di apertura e interconnessione dell'economia italiana (e quindi anche gli scambi commerciali in entrata ed in uscita) verso quelle economie nei confronti delle quali la lira potrebbe svalutare o rivalutare, per poi tirare le somme.

Diciamo anche che, per i risparmiatori, la svalutazione della nuova lira potrebbe essere un'occasione di guadagno, qualora avessero risparmi (titoli, fondi comuni, azioni ecc ecc) investiti in attività estere oggetto di rivalutazione nei confronti della nuova lira. Ad esempio, se il mio fondo comune investe in bond denominati in Usd, considerando che il dollaro Usa si rivaluterebbe, in caso di liquidazione delle quote del fondo, porterei a casa una plusvalenza pari alla rivalutazione del dollaro sulla Lira. Anzi, se le cose dovessero andare per come le abbiamo appena descritte, è anche verosimile attendersi un ritorno di capitali attualmente allocati all'estero, proprio per sfuggire dal rischio derivante dalla ristrutturazione del debito italiano. Questi investitori, per monetizzare i guadagni derivati dalla rivalutazione della valuta in cui sono allocati i risparmi, potrebbero liquidare i propri investimenti, riportare in Italia i capitali, e magari investirli sul debito italiano o altre attività presenti nel paese, contribuendo ad aumentarne (o stabilizzarne) il valore.

Va detto, quindi, che la perdita che potrebbero patire i risparmiatori non è tanto riconducibile alla svalutazione (per i motivi su esposti) ma ad altri 2 fattori: l'inflazione che deriverebbe da una svalutazione, e la diminuzione del valore degli investimenti per effetto della "caduta" più o meno profonda che potrebbe innescarsi sui mercati a seguito di questo evento.

Sul primo punto esistono autorevoli studi che affermano l'inesistenza di una correlazione diretta tra svalutazione ed inflazione. E i precedenti storici che riguardano il nostro paese confermano tale tesi. Ad esempio, nei due anni successivi l'introduzione dell'euro, la moneta unica si svalutò di circa il 20/25% nei confronti del dollaro e questa svalutazione non si tradusse in livelli alti di inflazione, che pertanto rimase sotto controllo. Andando ancor più indietro nel tempo, si potrebbe ritornare al 1992 e agli anni successivi, quando in Italia, a seguito dell'uscita dallo SME, la svalutazione fu assai più accentuata. Anche in questo caso, non vi fu alcuna fiammata inflazionistica, e, nonostante l'entità della svalutazione, l'inflazione che ne derivò fu del tutto contenuta (intorno al 5%), ben inferiore ai livelli che oggi vengono ipotizzati in caso di uscita dall'euro.

Proseguendo nel nostro ragionamento, credo che si possa concordare sul fatto che un eventuale eurexit produrrebbe delle tensioni sui mercati e quindi un aumento dell'avversione nei confronti dell'Italia da parte degli investitori esteri, che venderebbero titoli in portafoglio generando ribassi dei corsi azionari e obbligazionari. E anche in questo caso ci sono dei MA. E' chiaro che, da un eventuale uscita dall'euro, le aziende orientate verso i mercati esteri ne trarrebbero un maggior vantaggio, poiché venderebbero i loro prodotti a prezzi più competitivi rispetto agli attuali. Quindi non è detto che queste subiscano dei deprezzamenti così consistenti, che comunque, se così fosse, dovrebbero essere recuperati in tempi relativamente brevi.

Discorso diverso (e anche più problematico), invece, riguarda quelle aziende (non solo quotate) con una forte esposizione debitoria estera, a fronte di contratti governati da leggi estere e quindi non soggette al diritto italiano. Considerata l'impossibilità di ridenominare questi contratti nella nuova lira, queste aziende si troverebbero a dover ripagare i loro debiti in una valuta (magari dollaro) rivalutata rispetto alla lira, e quindi credo che qualche serio problema lo avrebbero. Non è neanche detto che queste possano riassorbire il maggior onere derivante da debiti espressi in valuta estera (rivalutata, quindi) grazie ad un aumento dei ricavi per via di maggiori esportazioni come conseguenza di un cambio più favorevole. Quindi, a mio modesto avviso si dovrebbe intervenire con linee di credito dedicate o comunque con altre soluzioni idonee a smaltire il maggior onere sostenuto.

Discorso analogo, a proposito di debito estero, vale per il comparto bancario. Ma in questo caso ci sarebbe da considerare l'aggravante titoli di stato in pancia alle banche italiane: quasi 400 miliardi di euro. È chiaro che il deprezzamento dei titoli di stato causato dalla fuga degli investitori esteri metterebbe sotto serie pressioni i deboli bilanci bancari, già assai fragili per via delle sofferenze derivanti dai crediti inesigibili, che hanno generato forti pressioni sul patrimonio dei singoli istituti. Ma è altrettanto chiaro che un'uscita concordata dall'euro o la sua dissoluzione ordinata potrebbe mitigare di non poco gli effetti che si determinerebbero a causa dell'avversità degli investitori esteri al rischio Italia. In alternativa la Banca d'Italia dovrebbe agire per sostenere i valori del debito in pancia alle banche, acquistandoli . Oppure il debito dovrebbe essere ricomprato dai risparmiatori italiani, magari grazie ad un ritrovato slancio di unità nazionale e a un colpo di orgoglio da parte degli italiani.

Ma non sarebbe da escludere l'ipotesi che una parte non del tutto inconsistente del sistema bancario potrebbe essere nazionalizzata, ripulita (dalle sofferenze), ristrutturata e poi rimessa sul mercato in tempi successivi, magari generando anche occasioni di profitto per lo Stato. La nazionalizzazione di alcune banche in difficoltà, a dire il vero, non sarebbe fatto remoto nemmeno rimanendo nell'euro, per via delle sofferenze che incombono sui bilanci delle banche; ammesso che il governo italiano riesca a trovare i soldi per ricapitalizzare un numero non del tutto trascurabile di banche che navigano in brutte acque e sempre ammesso che non voglia far pagare pegno agli azionisti, agli obbligazionisti, e ai depositanti, come i recenti orientamenti europei sembrano voler suggerire (Cipro docet).

Tuttavia giova anche segnalare il fatto che l'Italia, per gli investitori esteri, rappresenta anche un ottimo mercato di riferimento nel quale fare ottimi affari. Quindi non è affatto detto che gli investitori internazionali non possano avere un atteggiamento più mite rispetto a quello che, forse troppo facilmente, si è inclini a ritenere. Sotto questo punto di vista ritengo che un grande contributo dovrebbe giungere dalla politica e dai messaggi rassicuranti che i leaders europei saranno in grado di trasmettere, nell'interesse di tutti, nelle fasi immediatamente successive all'annuncio, auspicabilmente concordato.

Tornando al tema del risparmio e agli effetti che potrebbe determinare l'uscita dall'euro, possiamo sbilanciarci nel dire che molto dipenderà anche dal genere di investimento effettuato dal risparmiatore. Ad esempio, se si fossero acquistate obbligazioni, queste, nonostante una perdita di valore (prezzo) che potrebbero subire durante la loro vita (anche in virtù delle turbolenze che potrebbero manifestarsi sui mercati come conseguenza dell'uscita di qualsiasi Nazione della moneta unica, e quindi non solo dell'Italia), verrebbero comunque rimborsate a scadenza al prezzo determinato all'atto dell'emissione del titolo, cioè alla pari in genere.

Discorso diverso riguarda i titoli azionari che, per loro natura, essendo delle classi di investimento in via di principio più rischiose rispetto alle obbligazioni, incorporano la possibilità di perdite maggiori, la cui eventualità di verificarsi dovrebbe essere nota al risparmiatore che investe in questa tipologia di attività. Giova ricordare che già dal 2012, Banca Unicredit, in occasione dell'aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro, nel prospetto informativo dell'offerta di azioni, contemplò la possibilità che l'eventualità di una dissoluzione della moneta unica o più semplicemente di ritorno alla lira, avrebbe potuto incidere negativamente sul valore del titolo. Successivamente anche altre banche hanno seguito l'esempio di Unicredit nel dotarsi di precauzioni simili nell'ambito della documentazione ufficiale relativa ad operazioni straordinarie. Quindi, il rischio dovrebbe esser noto a chi investe in azioni o in titoli che incorporano già per loro natura la possibilità di oscillazioni, piccole o grandi che siano. Tuttavia, se è vero che una svalutazione della nuova lira potrebbe favorire l'espansione del ciclo economico, appare logico ritenere che le perdite potrebbero essere riassorbite in orizzonti temporali relativamente brevi, per effetto di un maggior vigore del ciclo economico. Ma questo aspetto è tutto da verificare.

Concludendo il nostro ragionamento, possiamo affermare che l'uscita dall'euro non sarà sicuramente una passeggiata e avrà dei costi ma anche dei benefici, riconducibili principalmente alle possibilità derivanti da una ritrovata autonomia monetaria e fiscale, che tuttavia dovrebbero essere attuate implementando comunque le riforme di cui l'italia ha bisogno.

Nessuna persona dotata di buon senso si sognerebbe di affermare che l'eventuale uscita dalla moneta unica non avrebbe anche delle controindicazioni. Ma accanto a queste, andrebbero valutati anche i costi (a mio avviso superiori) che la permanenza nell'euro presuppone.

L'alternativa al non agire sarebbe un lungo e doloroso processo di impoverimento generalizzato, peraltro già in atto da diversi anni, che potrebbe anche accelerare viste le pessime condizioni in cui versa l'italia. Il risultato di questa inerzia sarebbe quello di giungere tra qualche anno alla stessa soluzione (cioè all'uscita dall'euro differita), ma con un tessuto produttivo e sociale molto più compromessi di quanto lo siano oggi, e con il risparmio degli italiani assai più ridotto rispetto ad oggi. Di conseguenza anche la capacità di reazione e di recupero dell'Italia sarebbe assai più limitata di quanto lo sia tuttora.

Evocare scenari apocalittici o affermare che i risparmi verrebbero distrutti, oltre a non fondarsi su alcun elemento scientifico certo e condivisibile, appare assai mistificatorio. Soprattutto alla luce del fatto che, anche permanendo nell'euro, non è affatto remota la possibilità che si possa giungere ad una ristrutturazione del debito pubblico (LEGGI: L'ITALIA PUO' FALLIRE, ORA ANCHE PER LEGGE) con conseguenti perdite a carico dei risparmiatori (ndr: vedi ERF).

Senza poi dimenticare che molti politici italiani, personaggi della finanza e del mondo economico, sia italiani che di altre nazioni, per loro stessa ammissione, suggeriscono e sarebbero favorevoli all'introduzione di una imposta patrimoniale (anche da 400 miliardi di euro) finalizzata all'abbattimento del debito pubblico.

martedì 13 maggio 2014

Il M5S e le elezioni europee. Base contro altezza.

Partendo dalle considerazioni del post precedente vorrei concentrarmi oggi sul M5S cercando, attraverso l'analisi dei sette punti del programma per le europee, di capire meglio cos'è e dove vuole andare.
Vediamo punto per punto il programma:

Referendum per la permanenza nell’Euro.
Cominciamo con il pezzo forte della campagna elettorale del M5S, una vera castroneria per una serie di motivi. Il motivo tecnico è che dall’Euro l’Italia non potrebbe certo uscire tramite un referendum abrogativo. Non soltanto, infatti, l’art. 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ma, secondo una consolidata interpretazione della Consulta, non sarebbe mai possibile interferire, attraverso referendum, con l’ambito di applicazione delle norme comunitarie e con gli obblighi assunti dall’Italia nei confronti dell’Unione Europea. Grillo ha proposto un referendum “propositivo”, non abrogativo. Nel nostro ordinamento, però, non è possibile proporre lo svolgimento di referendum consultivi, al di là delle espresse previsioni della costituzione (articolo 132, ai sensi del quale tali consultazioni riguardano unicamente modifiche ai territori delle Regioni). Ora ammesso che il M5S riuscisse a conquistare la maggioranza assoluta alle prossime politiche (2018 ?) dovrebbe modificare la costituzione per poterlo imporre, e non solo, Grillo aveva anche promesso che, prima del referendum, avrebbe fatto una campagna di un anno per informare gli italiani (2019 ?).
Nell'ipotetico periodo di preparazione al referendum, nella più avventata delle previsioni parliamo dei prossimi due anni (elezioni anticipate), i mercati che farebbero???? Ovviamente avrebbero tempo e modo di massacrarci l'economia, speculando e lucrando.
Il “referendum” sull’Euro è un’illusione, un modo di prender tempo, di evitare di rischiare e non perdere il voto degli euroscettici (la maggioranza della base M5S) poco inclini agli approfondimenti, insomma è una manovra di marketing.
Casaleggio è contrario all'uscita dall'Euro e quindi  ha pensato bene di inventarsi questa proposta poco logica, poco rivoluzionaria ma funzionale al proprio scopo (quale?).
Ma un movimento rivoluzionario (solo nelle menti della base che ci crede ancora) non può permettersi di temporeggiare.

Abolizione del Fiscal Compact
Adozione degli Eurobond
Questi due punti vanno valutati insieme perché, mentre Casaleggio inganna, i tecnocrati europei capeggiati da Barroso, si portano avanti con il lavoro, pensando bene di sostituire il Fiscal Compact (sanno che gli Stati PIIGS, o più elegantemente GIPSI, non riusciranno ad onorarlo) con l'European Redemption Fund, per il quale tutti gli Stati aderenti conferiscono a un Fondo specifico le eccedenze delle porzioni di debito superiori al 60% del PIL e lo stesso Fondo, per finanziarsi e tramutare i titoli nazionali con quelli con garanzia comune, emetterà sul mercato dei capitali una sorta di super eurobond al cubo e, avvalendosi della tripla A concessa dalle Agenzie di rating alle emissioni della UE, potranno godere di tassi presumibilmente più bassi rispetto a quelli di molti paesi “periferici”. Il nostro debito,  anche se attualmente espresso in euro ma di fatto valuta per noi estera in quanto non la stampiamo, è ancora sotto la giurisdizione italiana, mentre con la conversione in emissioni comuni (gli eurobond che vuole il duo Grillo-Casaleggio), si tramuterebbe in giurisdizione internazionale e non più convertibile in valuta nazionale in caso di uscita poiché non più applicabile il principio di Lex Monetae previsto dagli artt.1277 e 1278 del nostro Codice Civile. Ma siccome nessuno ti regala nulla per nulla, tantomeno i ragionieri esattori europei, in cambio dell'emissione dei super eurobond viene pretesa a garanzia l’asservimento dei rispettivi asset patrimoniali nazionali, riserve valutarie e auree e parte del gettito fiscale (es. IVA). Ciao ciao sovranità, ciao ciao Bel Paese.
Con questi due punti il (presunto) cervello del M5S dimostra di non capire una beata mazza di argomenti macroeconomici. Propone la giusta eliminazione del Fiscal Compact e dopo caldeggia la creazione degli eurobond che sono la garanzia di un ancoraggio perenne all'Euro su quale vuole però indire un fantomatico referendum per uscirne.
Confusione totale, ma non è casuale, è un Casaleggio's project.

Alleanza tra i Paesi mediterranei per una politica comune
Che politica potremmo avere in comune con Grecia, Turchia, Libano, Israele, Egitto, Tunisia, Libia, Marocco, Spagna, Francia?
Controllo immigrazione, cooperazioni agricole, mercato di sbocco per le nostre PMI che l'Eurozona sta distruggendo e altro...... cose ovvie che, a volte bene e molte volte male, si sono sempre fatte.
Casaleggio ne fa un punto di programma. Onore a lui per questo piccolo scorcio da sagra delle banalità.

Investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio
Abolizione del pareggio di bilancio.
Anche questi due punti vanno valutati insieme perché è incredibile la contraddizione che si evidenzia tra questi punti e il programma storico del Movimento 5 Stelle
Quello che segue è un estratto della pagina 2 del documento:


La frase evidenziata è esattamente il concetto che ha portato alla condivisione e alla obbrobriosa approvazione del pareggio di bilancio in Costituzione e, soprattutto, al ripudio del concetto di spesa pubblica (e del suo moltiplicatore) che, in uno Stato sovrano, dovrebbe essere sempre superiore al gettito delle tasse.
Quindi, sempre nel pieno del programmato stato confusionale, Casaleggio propone lo sforamento del 3% della spesa a deficit, l'abolizione del pareggio di bilancio ma è per l'approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria cioè a favore del pareggio di bilancio che però voleva abrogare. Mah....

Finanziamento per attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni
Condivisibile, fattibile, necessario in uno Stato Sovrano che deve essere in grado di sostenere autonomamente, anche se solo in parte, i consumi interni, rendendosi prospetticamente  meno permeabile e assoggettabile alle politiche espansionistiche dei grandi gruppi alimentari multinazionali.


La mia opinione è che il programma non si tiene in piedi, è una grande delusione.
La malizia mi suggerisce che si tratta di uno specchietto per le allodole, concetti buttati alla rinfusa che evidentemente cadono nel merito di una più attenta analisi tecnica e che sono strumentali alla cooptazione di un elettorato scontento del sistema, voglioso di esprimere un voto di protesta ma poco erudito sui temi e superficiale nell'analisi.
Casaleggio non vuole uscire dall'euro, penso che non voglia veramente fare un referendum, e che progetti di arrivare nella stanza dei bottoni dello Stato...... non perché "uno vale uno".........
Grillo era e rimane uno show man, un simpatico ed energico trascinatore, nulla di più.
Sono stato iscritto al M5S per circa un anno, l'ho fatto per curiosità e con una piccola speranza, me ne sono fatto un'idea che l'ha uccisa.
La base che decide è meno di una mezza verità.
In un incontro pubblico "Fuori dai Media" con deputati, senatori ed attivisti M5S dello scorso 16 febbraio a Chieti Scalo, un deputato pentastellato mi ha confessato che due dei sette punti del programma per le europee sono stati imposti da Casaleggio, non mi ha detto quali ma è facile intuirli.
Dai sondaggi e dal forum sul sito di Grillo si evince che la maggior parte della base è per uscire dall'euro, la proposta più votata nel forum, fino a circa un anno fa, era l'implementazione della Modern Money Theory (che condivido solo in parte, la creazione di moneta è endogena, non esogena....) nel programma cinque stelle, una teoria economica che a grandi linee predilige il ritorno alla sovranità monetaria e una politica espansiva. Non è stata mai presa in considerazione dal vertice in barba alla democrazia diretta che è solo uno slogan.

Quindi?
Base contro altezza: vince l'altezza ma la base si può rompere..........

domenica 4 maggio 2014

Orientarsi nella crisi verso le elezioni europee

Cominciamo col dire che l’Italia, come altre nazioni europee, nel secondo dopoguerra ha sperimentato con successo un modello istituzionale basato su un concetto di sovranità che è quello democratico “necessitato”, come già riportato in un precedente post, non è concepita quindi un’astratta sovranità, come potere di supremazia dell’organizzazione dello Stato sui cittadini, essa è invece concepita sul fatto che possano essere perseguiti e garantiti i diritti fondamentali, tra cui il primo è il diritto del lavoro (art.1 e 4).
Siamo in crisi, le forze politiche indicano diverse ipotesi sulle loro cause, proviamo ad analizzarle in breve.

Il debito pubblico. Ha un unico problema o è garantito o non è garantito, o c’è una Banca Centrale che garantisce fino a pensare di monetizzarlo o altrimenti la gente corre a venderlo e non è possibile rientrare in un’altra maniera.
Il fondo Salva Stati in realtà non ha fermato mai nulla dello spread (differenziale di rendimento tra i titoli di debito pubblico poliennali italiani e tedeschi), altro che scudo anti-spread, sono bastate tre parole “whatever it takes”.
Il debito pubblico italiano è molto più sostenibile di quello di Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna e USA.
Il debito pubblico italiano è un problema da affrontare ma non è la causa della crisi.

Corruzione, casta, costi della politica. Se si annullassero magicamente tutti questi presunti “sprechi” le aziende italiane venderebbero di più, in Italia o all’estero?
Ovviamente no.
Il problema è, dal lato interno una domanda debole, dall’estero un prezzo troppo alto dei prodotti perché abbiamo una moneta sopravvalutata.
Alcuni di tali argomenti sono crimini o reati, oggetto di magistratura e polizia, e in parte sono problemi etico-morali che affondano sicuramente nel malcostume ma che hanno ricevuto un fortissimo impulso dalle deregolamentazioni del mercato e dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
Inoltre non esiste alcun nesso tra corruzione e debito, nei due sottostanti grafici ho inserito i dati suggeriti dal Professor Alberto Bagnai, docente di Politica Economica presso il dipartimento di Economia dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara, nel suo libro (Il Tramonto dell’Euro – 2012 – Alberto Bagnai – Imprimatur), possiamo notare come, durante gli anni che vanno dal 2001 al 2007, a fronte di un aumento della corruzione c'è una riduzione del debito pubblico.


Sono problemi importanti da affrontare ma non sono la causa della crisi.

Spesa pubblica improduttiva. E’ sicuramente possibile spendere meglio, riqualificarla, però dire che se diminuiamo la quantità di spesa, anche la più cattiva, si va in recessione, è lapalissiano, basta tenere conto del funzionamento del flusso del reddito.
Non è la causa della crisi.

Le tasse. Se uno Stato non funziona bene come economia, e quindi si impoverisce, non è una migliore distribuzione della ricchezza o una minore ineguaglianza che risolve la crisi, eppoi la distribuzione di ricchezza in Italia è tra le più uguali, regolari nel mondo, semplicemente perché c’è una grande presenza di proprietari di casa che rappresenta la parte preponderante dei risparmi/patrimonio dello Stato.
Le tasse evase non sono la causa della crisi.

Qual è allora il problema?

Il problema è l’Euro. l'Italia ha, per i suoi fondamentali economici, una valuta sopravvalutata cioè vale di più di quello che dovrebbe valere. La Germania ha una valuta sottovalutata per i suoi fondamentali economici, cioè vale di meno di quello che dovrebbe valere. La moneta comune a loro è l'€. Per effetto di questa considerazione e prendendo come riferimento la moneta più stabile del pianeta, il $, l'€ virtuale italiano dovrebbe essere cambiato a circa 1,00 ÷ 1,10 $ mentre l'€ virtuale tedesco dovrebbe essere cambiato a 1,70 ÷ 1,80 $.
L'€ reale è cambiato a circa 1,39$.
L'utilizzo di una moneta comune tra due economie con fondamentali diversi ma concorrenti tra loro negli stessi settori industriali porta inevitabilmente a rendere più competitivi i prodotti dell'economia con moneta sottovalutata e fuori mercato i prodotti dell'economia con moneta sopravvalutata.
La Germania esporta, l'Italia no.
Le imprese italiane chiudono, quelle tedesche no
In Italia aumenta la disoccupazione, in Germania no.
La Germania vince e impone le regole, l'Italia obbedisce e muore.
Stessa cosa vale per gli altri Paesi “deboli” della UE (e ultimamente anche per la Francia).

Shock esterni, politiche concorrenziali sleali, squilibri in genere vengono sanati, in regime di sovranità, con le politiche del cambio che è il listino prezzi del Paese.
In un regime di moneta unica se si va indietro come competitività rispetto agli altri Stati membri non abbiamo modo di aggiustare il nostro listino prezzi se non scaricando questi squilibri sui salari abbassandoli e applicando politiche di austerità per ridurre la domanda interna abbattendo le importazioni e riportando in attivo il saldo estero.
Una vittoria di Pirro.
Con uno Stato debole e una valuta forte si ha un’incredibile combinazione esplosiva. Disoccupazione., indebitamento facile con bassi tassi perché affidabile in quanto sei in area Euro, e quindi incremento del  debito privato che, grazie al sistema Target2, si scarica sul debito pubblico.
In questa situazione non possiamo pensare di distribuire denaro aggiuntivo aumentando la spesa pubblica, non possiamo pensare di eliminare il problema tagliando le tasse. Con il denaro in più si andrebbe di nuovo ad acquistare beni esteri perché più convenienti sbilanciando in negativo il saldo estero.
L’unica via, conditio sine qua non, primo tassello di successive profonde riforme, è uscire dall’Euro, riconquistare la sovranità monetaria, ri-nazionalizzare la banca centrale, riattivare la Costituzione annullando le assurde modifiche apportate negli ultimi vent’anni.

Se si ritiene rischiosa questa via ci sarebbero altre possibilità a mio avviso, e non solo mio,  non percorribili:
  • Un politica fiscale armonizzata con trasferimenti interni, ma la Germania non li vuole essendone prevedibilmente il primo contributore, e anche noi non dovremmo volerli sapendo come è andata nel sud Italia.
  • Una ulteriore deflazione salariale (jobs act), ma non serve, tutti più poveri non sembra una soluzione prospettica, e con essa si persegue evidentemente la fine dello Stato.

L’armonizzazione tra gli Stati UE in temi di politica fiscale e mercato del lavoro rimangono la chimera dei sognatori, infatti la UE stessa pone i suoi fondamenti sulla forte competitività tra gli Stati e la stabilità dei prezzi (art. 3 TUE).
Detto in altre parole:
  • LA COMPETITIVITA’ E’ L’OPPOSTO DELL’ARMONIZZAZIONE.
  • LA STABILITA’ DEI PREZZI RENDE PIU’ LIBERA LA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI A DISCAPITO DELLA MOBILITA' DEL FATTORE LAVORO.
  • LO STRUMENTO EURO E’ STATO ARCHITETTATO PER PERSEGUIRE TALI OBIETTIVI.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

La UE stessa, dunque, promuove la prevalenza o prevaricazione del più forte sul più debole, rende più mobile il fattore capitale a discapito del fattore lavoro la cui armonizzazione trova, tra i popoli, barriere culturali e legislazioni diverse che pongono limiti, al momento e ancora per lunghi decenni, obiettivamente non superabili.
A livello istituzionale la UE poi supera l’inimmaginabile, organizzata com’è per concentrare il potere su organi non eletti su cui l’influenza delle lobby e delle élite tecnocratiche internazionali impongono le politiche comuni e che, attraverso gli assurdi parametri economici imposti, controllano le politiche interne degli Stati membri disattivandone tutto ciò che riguarda i processi democratici e la sovranità.

Questo è lo status quo.

La struttura istituzionale della UE la trovate qui . Quello che segue è un banale schema di funzionamento della UE .....ecco, noi votiamo nelle prossime elezioni soltanto rappresentanti del Parlamento Europeo che è stato pensato proprio per essere il meno influente possibile nei processi istituzionali UE.



Per le elezioni europee che propongono i partiti e i movimenti italiani ?

PD: Nell’ambito dei grandi partiti europei il PD sostiene il programma del PSE (Partito Socialista Europeo) e appoggia la candidatura del tedesco socialista Martin Schulz alla presidenza della Commissione Europea. Il Pse ha approvato un programma in 10 punti: tra questi il diritto a un lavoro dignitoso, la creazione di nuovi posti di lavoro, la ripartenza dell’economia europea, la regolamentazione del settore bancario, l’imposizione di un tetto per i bonus ai banchieri, la creazione di un Europa sociale e verde, favorire l’uguaglianza dei diritti delle donne e delle diversità, la promozione di un vita sana e sicura, maggiore democrazia e partecipazione. Nel programma del Pd per le elezioni europee c’è anche la parità di genere e la lotta alla violenza sulle donne, il ricorso ai project bonds per finanziare gli investimenti nell’economia verde e la promozione dell’Europa come attore globale.

M5S: programma in 7 punti: Referendum per la permanenza nell’Euro, Abolizione del Fiscal Compact, Adozione degli Eurobond, Alleanza tra i Paesi mediterranei per una politica comune, Investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio, Finanziamento per attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni, abolizione del pareggio di bilancio.

Forza Italia: pochi punti ma lapidari sono quelli che Silvio Berlusconi ha buttato giù per provare a restare a galla alle Europee che, per la prima volta, non lo vedranno in lista. Serve una comune politica dell'economia, una comune politica fiscale e un'unica politica estera. Per questo Forza Italia chiede che il presidente del governo europeo venga eletto direttamente dai cittadini europei. E’ necessario eliminare il fiscal compact e consentire ai Paesi lo sforamento del 3% annuo nel rapporto tra deficit e PIL. La Banca centrale europea deve diventare prestatore di ultima istanza, che possa stampare moneta ed emettere eurobond. Vanno rinegoziati tutti i trattati firmati a livello europeo. Forza Italia è nel PPE (Partito Popolare Europeo) che candida Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione europea.

Lega Nord: seguendo il proposito che “un’altra Europa è possibile” il programma della Lega che viene annunciato con un logo contenente lo slogan “Basta Euro”  che è anche il titolo di un opuscolo in cui si risponde a 31 domande inerenti l’abbandono della valuta Euro e il ritorno a una valuta nazionale. Ecco alcuni punti in sintesi: gli Stati nazionali sono sempre meno democratici… ma l’UE non è una democrazia in loro sostituzione, l’Europa si sta trasformando in un impero medievaleggiante, ristabilire la primazia delle sovranità nazionali sul diritto comunitario. Ha stretto accordi con altri schieramenti europei euroscettici tra cui il Front National di Marine Le Pen.

NCD + UDC + Popolari: il programma si sintetizza nei seguenti slogan: Vogliamo rifondare l’Unione europea perché l’Europa sia protagonista nel mondo, Liberi di scegliere chi ci governa, Tutela del Made in Italy, Una difesa e una diplomazia comuni.

L’Altra Europa con Tsipras: sostiene la candidatura alla presidenza della Commissione europea di Alexis Tsipras e ha il suo programma espresso in dieci punti tra cui: la fine immediata dell’austerità, un programma di ricostruzione economica,  la sospensione del patto di bilancio europeo (Fiscal Compact), una Conferenza europea sul debito, una vera banca europea, una legislazione europea (segnalo un’analisi molto critica del programma svolta su questo blog).

Fratelli d’Italia + AN: Diviso in 16 sfide, il programma di Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale si caratterizza per la forte difesa del "made in Italy" e della sovranità nazionale.

Per l’analisi economica fatta in precedenza è chiaro, almeno per sei-sette premi Nobel per l’economia, per alcuni seri economisti e giuristi italiani e, umilmente, per me, che il problema sono lo strumento € e le politiche a suo supporto.

Fatevi una domanda, quali sono gli schieramenti politici italiani che hanno individuato quella che in questo post e qui viene identificata come la causa della crisi?
E un’altra domanda, chi promuove politiche economiche pro-cicliche?

Datevi le risposte e votate.

Chiudo con un po’ di analisi filosofica (.......che consiglio in genere al posto dell’analisi psicoterapica......)