giovedì 24 luglio 2014

Il moltiplicatore delle bugie di Renzi

La scuola keynesiana nasce negli anni trenta nel contesto della riflessione sulle cause della grande depressione.
Fino ad allora era dominante l’idea che l’offerta dei beni creasse da sé la propria domanda, tale idea era ed è conosciuta come “legge di Say”, considerata valida soprattutto dai liberisti della scuola austriaca neoclassica (Von Mises, Von Hayek, etc)
Keynes, in aperta polemica con la teoria allora (e tuttora) dominante secondo cui le cause della disoccupazione erano da individuarsi in un livello eccessivamente alto del salario reale, ritenne che le cause della depressione derivassero dalla carenza di domanda aggregata.
«In macroeconomia la domanda aggregata rappresenta la domanda di beni e servizi formulata da un sistema economico nel suo complesso, in un certo periodo temporale; come tale essa rappresenta la potenzialità di sfruttamento della capacità produttiva globale di un certo sistema economico.» (Wikipedia)
Secondo Keynes, l’economia si era avvolta in un circolo vizioso: la domanda aggregata era bassa perché era basso il livello del reddito; il reddito era basso perché i salari e l’occupazione erano bassi; salari e occupazione erano bassi perché era basso il livello della produzione; la produzione era bassa perché erano bassi i consumi e la domanda in generale.
Keynes propose, quindi, una soluzione che consisteva nell’interrompere tale circolo vizioso attraverso interventi volti ad aumentare la domanda aggregata, ad esempio aumentando la spesa pubblica o riducendo le tasse, cioè facendo ciò che gli esperti chiamano “politiche fiscali espansive”.
Keynes sviluppò la critica attraverso il principio della domanda effettiva. Secondo tale principio il livello di produzione (e quindi dell’occupazione) dipende dal livello della domanda aggregata.
Non è la domanda che si adegua all’offerta come sostenuto da Jean Baptiste Say, bensì l’offerta che si adegua alla domanda.
Secondo Keynes, inoltre, la principale variabile da cui dipende il livello di consumo (C) delle famiglie è il reddito corrente Y.

A questo punto ripropongo uno schema di questo fortunato post che schematizza il flusso del reddito:
Caratterizzato dalla seguente equazione che esprime il reddito di equilibrio (trascurando per semplicità RNE):
                                                            Y = C + I + G + X - M
Con una semplice trattazione matematica Keynes approdò alla definizione di una grandezza chiamata Moltiplicatore il quale esplicita il fatto che un aumento con causa esogena della domanda aggregata produce un aumento proporzionalmente maggiore nel reddito d’equilibrio.
Le equazioni seguenti tengono conto di alcune semplificazioni come l’ipotesi di trascurare il tasso reale di interesse e le sue variazioni assumendo che esso sia uguale a 1, e di trascurare il coefficiente di proporzionalità tra investimenti (I) e reddito (Y), una funzione crescente, che consideriamo inglobato nella propensione marginale al consumo.
Dove:
c è la propensione marginale al consumo data dal rapporto tra la variazione dei consumi e la variazione del reddito disponibile ∆C/∆Yd.
t è l’aliquota fiscale fissa, nella semplificazione che essa non viene modificata al variare del reddito nazionale, in altre parole si ipotizza un’imposta proporzionale e progressiva sul reddito che rimane fissa sia se l’economia è in recessione sia che è in espansione (es: flat tax).
m è la propensione marginale all’importazione data dal rapporto tra la variazione delle importazioni e la variazione del reddito complessivo ∆M/∆Y. In altre parole è la frazione di ogni unità addizionale di reddito che gli individui desiderano spendere per acquistare beni e servizi stranieri.
Le importazioni M sono una funzione del reddito nazionale (sono quindi una componente endogena), dei beni di consumo prodotti all’estero, e dei materiali utilizzati nella produzione dei beni fabbricati sul territorio nazionale, esse aumentano al crescere del reddito.
Siccome a noi interessa conoscere la prospettiva di variazione del reddito (PIL) di equilibrio in virtù dell’effetto del moltiplicatore, riscriviamo la formula tenendo conto delle variazioni:
(nota bene: il termine M relativo alle importazioni non compare più ma il suo effetto viene comunque tenuto in conto, correttamente, dal termine m a denominatore del moltiplicatore).
Facciamo ora una piccola analisi qualitativa della variazione del reddito nazionale (PIL) in funzione del moltiplicatore:
  • Il PIL tende a variare tanto più positivamente quanto cresce la propensione marginale al consumo, con un’aliquota fiscale bassa e una propensione marginale all’importazione bassa.
  • Al contrario Il PIL tende a variare tanto più negativamente quanto decresce la propensione marginale al consumo, con un’aliquota fiscale alta e una propensione marginale all’importazione alta.
  • La crescita della propensione marginale all’importazione riduce gli effetti del moltiplicatore a testimonianza che in una economia aperta (con import-export) esso è più basso rispetto a una economia chiusa (senza import-export).
E’ evidente che uno Stato può fare scelte di politica economica che possono variare tali grandezze in maniera diversa, per esempio a fronte di un riuscito rilancio dei consumi e, quindi, di una maggiore propensione marginale al consumo, il suo effetto benefico sul PIL può essere smorzato direttamente con un’imposizione fiscale maggiore o, indirettamente, con un aumento delle importazioni (soldi che se ne vanno fuori confine poiché una parte dell’incremento della domanda si rivolge all’estero traducendosi in un incremento delle importazioni).
Ora, da buoni praticoni, abbiamo uno strumento semplice tra le nostre mani che ci permette di fare nel nostro piccolo delle previsioni sull’evoluzione del PIL nel medio-breve periodo.
Precisiamo che calcolare il moltiplicatore è cosa difficile e impervia, pochi ci si avventurano, cosa certa è che esiste, nonostante i monetaristi…......
La difficoltà principale risiede nel fatto che tentiamo di calcolare un’entità dinamica con una relazione statica cioè, detto in altre parole, una possibile espansione di spesa pubblica G porta come conseguenza una variazione di C, I, X e M, cambiando inoltre, anche se in piccola parte, le propensioni marginali a moltiplicatore. Insomma, un cambiamento esogeno che porta in sé, nell’arco di un tempo ristretto, altri cambiamenti endogeni.
Ma noi siamo temerari e con semplici riflessioni proviamo a capire oggi quanto possa valere il moltiplicatore.
Empiricamente in Italia il valore della propensione marginale al consumo risulta oscillare negli anni tra 0,6 e 1,4. Con una propensione al risparmio attuale sotto al 10% (era al 26% ai tempi della £…sigh..) è ragionevole pensare a un suo valore pari a 0,9 (90% del reddito speso).
Assumiamo l’aliquota fiscale media per persone fisiche e imprese di circa il 45% del reddito (44,4% nel 2012).
La propensione marginale all’importazione si ipotizza a un valore prossimo allo 0,2, la frazione di 200€ ogni 1000€ addizionali di reddito che gli individui desiderano spendere per acquistare beni e servizi stranieri sembra essere ragionevole. Pensiamo a beni desiderati direttamente tipo i beni reali come le automobili o generi alimentari o attrezzature meccaniche, o beni “superflui” (sempre più rari) come le vacanze all’estero (equivalenti alle importazioni), o indirettamente come i beni strumentali come l’energia (da rete di fornitura, idrocarburi, etc.).
Risultato, abbiamo un moltiplicatore pari a 1,42 praticamente coincidente con il 1,4 di Sapir e non distante dal 1,5 ipotizzato a più riprese da Orizzonte48 qui e qui.
Ora, per innescare il meccanismo del moltiplicatore è evidente, guardando la formula, che bisognerebbe generare a livello di politica economica delle variazioni positive per qualcuna delle variabili presenti tra le parentesi del secondo termine.
La leva migliore che uno Stato ha è quella fiscale e cioè quella che permette di incrementare la spesa pubblica G e o ridurre, ove possibile, le tasse T generando così ripercussioni positive per un maggior reddito disponibile, maggiori risparmi e consumi, maggiori investimenti e, conseguentemente, maggiore occupazione.
È doveroso precisare che il moltiplicatore di una variazione positiva di spesa pubblica ∆G è maggiore di quello di una variazione negativa di tasse ∆T della stessa entità. In altre parole il moltiplicatore della spesa pubblica è sempre maggiore di una unità rispetto al moltiplicatore delle entrate per tassazione, nel caso particolare di ∆G=∆T cioè l'immissione di denaro è uguale al prelievo fiscale, la variazione del PIL ∆Y è positiva ed uguale a ∆G (Teorema di Haavelmo o del moltiplicatore in pareggio di bilancio).
Eventuali conseguenze con ripercussioni negative potrebbero manifestarsi con un aumento delle importazioni, dovute al maggiore reddito disponibile, che sbilancerebbe il saldo estero attenuando l’effetto del moltiplicatore.
Per limitare il presunto eccessivo incremento del reddito con conseguente rialzo del livello generale dei prezzi (inflazione) si potrebbe pensare a un variazione positiva dell’aliquota fiscale (alzare le tasse) al fine di beneficiare del trend positivo senza sforare in disequilibri.
Ma questo mondo “magico”, a noi italiani, sembra non appartenere più.
La politica economica ci viene dettata dalla UE sotto l’egida tedesca che ha tutto l’interesse ad affossare il principale antagonista manifatturiero europeo. I collaborazionisti del partito unico eseguono senza nascondersi più dietro la cosmesi, spogliando sempre più ogni giorno la democrazia violentandone la Costituzione.
La linea direttrice dei governi Monti-Letta-Renzi è sempre la stessa, soddisfare la volontà dei creditori teutonici.
Monti distrusse la domanda interna per ridurre il valore delle importazioni, riequilibrando il saldo estero ma comprimendo il mercato del lavoro e ottenendo lo splendido risultato di un aumento della disoccupazione e di circa dieci punti del rapporto debito/PIL. La ciliegina fu l'inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione e l'adesione al “fondo salva-Stati”.
Letta consolidò le politiche di Monti ma fu considerato troppo morbido dalle élite europee che pilotarono il passaggio di consegne a Renzi che oggi sta facendo di tutto per demolire definitivamente i diritti fondamentali della Costituzione (welfare, voto, bicameralismo) ma nulla può e vuole fare per risolvere i problemi macroeconomici.
Prendo a prestito l'analisi di Orizzonte48:
Nessuno può aspirare rimanendo nella moneta unica, a correggere i tassi di cambio reale senza aver ridotto l'importazione e quindi i consumi e la domanda interna. Nessuno. A pena di finire nel tritacarne, a potenziale ricorrente, dell'attacco al debito sovrano ed alla crescente erosione fiscale dell'onere degli interessi da corrispondere comunque a investitori in parte stranieri (aggravando ulteriormente la posizione netta sull'estero).
La correzione interna operata per non ri-espandere le importazioni implica inevitabilmente la contrazione prolungata dei consumi che sarà addirittura accentuata da misure come la riforma del mercato del lavoro (flessibilità in uscita) in fiscalità con "pareggio di bilancio" (quindi senza prospettive di nuovi investimenti e occupazione), che ad altro non mira che alla deflazione salariale reale e, in verità, anche nominale. Cioè ad una riduzione del reddito disponibile e quindi dei consumi e dell'intera domanda interna.
Ed infatti: la domanda pubblica 2014, dandosi concordemente atto di una correzione negativa dello 0,6 (peraltro reputata insufficiente dalla stessa Commissione e da Olli Rehn) inciderà sulla domanda-PIL per 0,9 punti, applicando un moltiplicatore fiscale (1,5) persino prudenziale, che la Commissione continua a ignorare.
Inoltre, la questione del cuneo fiscale, sempre dal punto di vista del moltiplicatore fiscale, non può per definizione apportare il beneficio ipotizzato sul reddito disponibile e quindi sul rilancio della domanda interna, esso verrebbe realizzato con equivalenti tagli della spesa pubblica, se non addirittura con imposizione patrimoniale straordinaria.
Rispetto ai tagli, lo sgravio contributivo, infatti, agisce incrementando la domanda esattamente in misura della metà della contrazione provocata dai tagli stessi. Come ha confermato lo stesso FMI (quando la recessione non era ancora a questi livelli di durata).
Quindi una fiscalizzazione degli oneri sociali "in pareggio di bilancio", (aggiuntiva), per 10 miliardi porta ad una contrazione del PIL esattamente equivalente: cioè a un -0,6, almeno.
Se accoppiamo questo -0,6 al -0,9 determinato dalla ultima manovra di stabilità ne avremmo un -1,5 di PIL. Sempre che si voglia finalmente prendere atto dell'esistenza del moltiplicatore fiscale, naturalmente.
Per compensare questa misura di domanda negativa occorrerebbe, almeno per non essere ancora in recessione, un attivo del CAB (saldo estero) almeno pari.
Ma abbiamo visto che la fiammata mercantilistica italiana sarebbe giunta al capolinea: e i rimedi offerti non paiono minimamente "idonei". Altro che rilancio della domanda interna, occorrerebbe altra deflazione salariale e probabilmente è questo che si vuole ottenere, agendo nominalmente sullo sgravio contributivo, ma su un numero di occupati in ulteriore diminuzione.
Solo che come già ipotizzava (coi suoi plurimi elementi "ipotetici") Bankitalia, l'attivo CAB dovrebbe quest'anno passare dallo 0,9 allo 0,2: ciò anche in considerazione del fatto che non solo la domanda estera dei BRICS è in calo essendo impegnati anche loro in una difficile, se non drammatica, correzione dei conti con l'estero contraendo la domanda.
...…..Il moltiplicatore non ci lascia scampo.
Anche nella presunta ibridazione tra mercantilismo e rilancio presunto della domanda interna - una specie di terza via tra PIGS e Germania che noi, al pari della Francia, non siamo realisticamente in grado di seguire, nel paradigma €uropeo attualmente incontestabile, la recessione derivante dalla linea dei "compiti a casa spontanei e per i nostri figli" dovrebbe finire a 1,3 punti.
Il che renderebbe drammatico e insostenibile l'aggiustamento a quel punto necessario per applicare il fiscal compact con la manovra di fine anno per il 2015.
E attenzione: non ho scontato gli effetti della propensione marginale al consumo della imposizione patrimoniale, straordinaria o a regime, che si vuole inasprire comunque.
In quel caso, a seconda del volume dall'inasprimento, le conseguenze sui consumi (ma anche sugli investimenti: col risparmio divenuto negativo e agli attuali costi del credito?) sarebbero ancora più negative.

Renzi per mesi ha dichiarato che non ci sarebbero state manovre correttive aggiuntive, ora nicchia, tentenna..........erano bugie.
Il PIL 2013 è stato di circa 1560 miliardi di €, una variazione (ottimistica) negativa di PIL del 1,5% genera un ammanco di circa 23 miliardi di €.
Stringiamo le chiappe al cuore, in autunno la manovra ci sarà e sarà di circa 25 miliardi di € di ulteriori tagli e o di imposizione patrimoniale straordinaria e o di prelievo forzoso dai conti correnti bancari.......
Verso una povertà dilagante.
Che Dio fulmini le élite UE, l'€, Renzi il collaborazionista, i suoi mandanti e la sua corte.


ADDENDUM del 13/08/2014
Guardate un po' che voci trapelano da qualche giorno........voi che avevate letto questo post, lo sapevate già, e se non ci avevate creduto, fatti vostri............il metodo analitico, nella sua disarmante semplicità, si è comunque rivelato ottimo!

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